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Sarah Meli – MioDottore.it

 
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…un po’ di Alice Miller

Alice-MillerFino al 1988 Alice Miller è stata membro della Società di psicoanalisi. Nei suoi scritti aveva già sollevato con chiarezza il problema della violenza sui bambini come causa delle disfunzioni in età adulta, convinta tuttavia che questo discorso fosse compatibile con l’impianto fondamentale della psicoanalisi. Con il tempo le è diventato via via più chiaro invece che quella da lei evidenziata è una verità non solo in contrasto con la psicoanalisi, ma tale da metterla in crisi. In seguito, dirà di essersi distaccata dalla psicoanalisi fin dal 1979, con la pubblicazione de Il dramma del bambino dotato, ma di aver trovato solo in seguito gli strumenti necessari per tematizzare in modo maturo l’esperienza fatta con i suoi pazienti e trarne tutte le conseguenze.
C’è una importante componente autobiografica nella ricerca di Alice Miller. Quella violenza che denuncia in tutti i suoi scritti l’ha vissuta in prima persona nella sua infanzia, anche se non nella forma dei maltrattamenti fisici o dell’abuso sessuale, bensì in quella più sottile, ma non per questo meno devastante, della persecuzione psicologica. Sua madre, racconta ne La fiducia tradita(Miller 1995, 22 segg.), da bambina la sottoponeva ad un vero e proprio muro di silenzio. Non le parlava per giornate intere, ed in questo modo affermava il proprio potere su di lei; un tale comportamento era una punizione, ma non spiegava mai alla figlia per cosa esattamente venisse punita. Si trattava, dirà, della situazione kafkiana di chi viene accusato senza che gli si dica esattamente per cosa, di un vero e proprio sistema totalitario. Se da bambina avesse saputo che la si trattava in modo ingiusto, la situazione sarebbe stata più tollerabile. Ma non è facile per un bambino mettere in discussione i propri genitori. Più facile è pensare che siano loro ad aver ragione ed interrogarsi sulle proprie colpe. La bambina che cerca di capire la ragione del comportamento della madre lascia il posto ad un’adulta che ha ormai rimosso i sentimenti infantili, ma si porta dentro il peso di quel senso di colpevolezza, di quel trattamento sadico ed ingiusto, di quella mancanza d’amore. Miller è giunta a liberarsene attraverso la terapia, secondo il metodo dello psicoanalista svizzero Konrad Stettbacher, che l’ha aiutata a prendere consapevolezza dei maltrattamenti subiti, a riconquistare i propri bisogni autentici ed a vivere un senso di giusta ribellione per il trattamento ricevuto nella prima infanzia. Soltanto per questa via è possibile riprendere contatto con la propria infanzia. La violenza subita è il rimosso per eccellenza, ciò che è al fondo del malessere di molti e della ferocia di alcuni – poiché, come meglio vedremo, una violenza non analizzata e riscoperta attraverso l’analisi tende a perpetuarsi, chi ne è stato vittima diventa a sua volta carnefice.
Nel Dramma del bambino dotato questo meccanismo di continuazione è già indicato con chiarezza. «La rimozione dei maltrattamenti subiti nell’infanzia induce molti, ad esempio, a distruggere la vita altrui e la propria, a incendiare le case di cittadini stranieri, a esercitare rappresaglie e a chiamare tutto questo “patriottismo”, per nascondere ai propri occhi la verità, continuando a non avvertire la disperazione provata dal bambino tormentato»(Miller 2007a, 10). Colui che da adulto esercita violenza è stato a sua volta vittima di violenza durante la sua infanzia. La continuazione è resa possibile dalla rimozione: se l’adulto riesce ad accedere alla sua verità più nascosta, quella dei maltrattamenti subiti nell’infanzia, il circolo vizioso della violenza si spezza. Ma non è una impresa facile, perché si tratta di rovesciare l’immagine dei propri genitori, di opporsi apertamente aduna lunga tradizione che esige un rispetto quasi religioso nei loro confronti e di giungere ad accusarli apertamente, con le conseguenze emotive che si possono immaginare.
C’è violenza, nell’infanzia, anche dove pare che non ve ne sia. La situazione del bambino è tale, nella nostra società, da farne una vittima. Ecco un bambino: è la gioia dei genitori, sembra circondato di amore, ovunque vada c’è intorno qualcuno a fargli le coccole, a parlargli con voce melliflua. Ma che succede se quel bambino non si comporta come gli altri si aspettano? Che succede se segue i propri bisogni, e non quelli dei genitori? Succede che il bambino diventa cattivo.  Il quale finirà in questo modo per adeguarsi alle esigenze dei genitori, mettendo da parte le proprie. Diventa come i genitori vogliono che sia, rinunciando ai propri bisogni più autentici e dipendendo interamente dal riconoscimento dei genitori. È questa l’alienazione del bambino. Egli non è sé stesso, ma è come i genitori vogliono che sia: sviluppa un falso Sé. È così che il dramma infantile condiziona l’intera esistenza. L’adulto vivrà in questa stessa alienazione, con questo stesso falso Sé, fino a quando non riuscirà a trovare la via d’accesso alla sua infanzia.
Nel Dramma del bambino dotato Miller mostra come la grandiosità, la depressione e il disprezzo siano conseguenze diverse di quello stesso dramma infantile. La persona grandiosa è alla disperata ricerca dell’approvazione, dell’ammirazione altrui, ha bisogno di sentirsi apprezzata, di ottenere il riconoscimento. Questa ammirazione, così fragile, è il surrogato dell’amore: se non è possibile essere amati – e se non si è stati amati da piccoli dai propri genitori, chi potrà amarci? – è possibile però ottenere il consenso degli altri, farsi apprezzare per quello che si fa, per il potere che si gestisce, per le qualità che si mostrano. La fragilità di questa soluzione consiste da un lato nella dipendenza che si stabilisce nei confronti di chi ammira, dall’altro nella difficoltà di mantenere nel tempo le qualità e le condizioni che suscitano ammirazione (l’invecchiamento, la malattia, i rovesci della fortuna, la perdita della ricchezza e del potere). In questi casi al crollo della grandiosità segue inevitabilmente la depressione, che della grandiosità non è che il rovescio. La fase depressiva non è una conseguenza necessaria ed inevitabile della caduta della grandiosità, ma si instaura solo se il soggetto nega e reprime il proprio mondo emotivo, si sforza di non vivere la sofferenza, di far tacere le sensazioni più forti, ripetendo ciò che aveva fatto da bambino per adattarsi alle richieste dei genitori. Se invece il dolore viene vissuto, accettato, riconosciuto, la persona ha accesso agli stati d’animo infantili che erano stati rimossi, torna all’origine della negazione, al momento in cui è stato instaurato il falso Sé. È questa la via – dolorosa, certo – che consente di accedere ai sentimenti infantili e di liberarsi progressivamente dal falso Sé, rinunciando alla ricerca spasmodica del riconoscimento. Non vuol dire liberarsi dalla sofferenza, poiché si tratta appunto di vivere le emozioni, comprese quelle dolorose. «Liberarsi dalla depressione – scrive Miller – non significa vivere in uno stato di perenne felicità o assenza di qualsiasi sofferenza; significa invece ritrovare la vitalità, ossia la libertà di riuscire a vivere i sentimenti che affiorano spontaneamente»(Miller 2007a, 65). È la via che conduce all’autenticità. Questo è esattamente lo scopo della terapia: aiutare il paziente a rielaborare il suo dramma infantile, riconquistando così la propria vitalità. Ma non sempre le cose vanno così. Perché possa aiutare il paziente e scoprire la storia della sua infanzia occorre che il terapeuta stesso sia consapevole della sua propria infanzia. In caso contrario, il terapeuta presenterà al paziente delle teorie che gli impediranno di accedere ai vissuti dell’infanzia. Il paziente finirà così per adeguarsi alle teorie del terapeuta, così come da bambino si era adeguato alle richieste dei genitori. Ne ottiene qualche conforto, ma non l’autenticità necessaria. La terapia conferma in falso Sé.
Un secondo modo per difendersi e negare i sentimenti che provengono dall’infanzia è il disprezzo. La condizione del bambino, pur in uno Stato democratico, non è diversa dalla condizione dei cittadini in uno Stato totalitario: il bambino è proprietà dell’adulto, «così come, nei regimi totalitari, i cittadini sono di proprietà dello Stato»(Miller 2007a, 81). L’adulto esercita sul bambino un potere assoluto, che viene considerato normale dalla società. Tutta la violenza, soprattutto psicologica, subita nell’infanzia trova sfogo nell’età adulta, in forme diverse. Il bambino che è stato disprezzato – ed apprezzato solo nella misura in cui si adattava alle richieste dei genitori – diventa un adulto che disprezza tutto ciò che negli altri gli appare debole, ossia colpisce il bambino che è negli altri, quale proiezione del suo bambino interiore; di qui anche l’adesione ad ideologie violente come il fascismo e la xenofobia. La nevrosi ossessiva e la perversione sessuale sono due altri esiti possibili. In questi casi l’adulto rimette in scena continuamente il suo dramma infantile, unica soluzione che gli consente di far sopravvivere, almeno in parte, il suo vero Sé.
La liberazione dal disprezzo è possibile, dunque, solo se l’adulto viene messo in grado ai accedere nuovamente al suo dramma infantile e di riviverlo anche emotivamente. È su questo punto che nel Dramma del bambino dotato Miller insiste soprattutto. La sua posizione nei confronti del mondo della psicoanalisi è ora quella di chi sottolinea l’importanza delle emozioni, criticando l’intellettualismo della terapia analitica tradizionale. C’è anche un importante risvolto politico di questa prassi terapeutica. Come si è detto, il fascismo non è che una conseguenza di una collera deviata, le cui origini sono nell’infanzia. Fino a quando le persone non saranno aiutate a riscoprire i maltrattamenti, le violenze e le umiliazioni cui sono state sottoposte nella loro infanzia, vivendo i sentimenti negativi nei confronti dei loro genitori, sposteranno verso soggetti deboli la collera repressa, con una dinamica che resisterà a qualsiasi argomento razionale, essendo radicata nel profondo. La riscoperta emotiva del dramma dell’infanzia è l’unica via per salvaguardare la democrazia dalla minaccia dei fascismi di ritorno.

tratto da www.educazionedemocratica.org